BRUSSELS, Belgium: Unconditional Basic Income – Emancipating European Welfare, April 10, 2014


UBI: Emancipating European Welfare

UBI: Emancipating European Welfare

After one year of campaigning for the European Citizens’ Initiative for Unconditional Basic Income, we are still actively continuing on the path towards finding an intelligent approach to European citizens’ real needs, particularly those generated by poverty. The Initiative won the support of over 300,000 people in less than a year. Since then, a network involving people and organisations from 25 countries has come together to carry on the Initiative’s aims.

At this conference we would like to consolidate this network by reflecting both on what has happened in the past year and on our future aspirations. Our main aim is for unconditional basic income to be implemented throughout the EU. There are also moves underway to get UBI recognised as a human right under the EU Charter of Fundamental Rights (Article 1: Human Dignity).

We hope that you will be able to attend our conference on 10 April 2014, and actively participate in the discussion of ideas which will be presented there. We would be grateful if we could receive your confirmation by 25 March. Please RSVP by e-mail: conference@ubie.org.

=== AGENDA ===

9:30 – 9:40 am: Welcome from European Economic and Social Committee (EESC)

9.40 – 9.50: Welcome from Barb Jacobson, Chair, Unconditional Basic Income Europe (UBIE)

9:50 – 10:05: Jones Sian, European Anti Poverty Network: Situation with income poverty and hidden poverty in Europe

10:05 – 10:15: Questions & Answers

10.15 – 10.30: Ronald Blaschke, Co-Founder and Member of the Board of Netzwerk Grundeinkommen Germany: Unconditional Basic Income – Consistently against (hidden) poverty and for real freedom for everyone

10:30 – 10:40: Q&A

10:40 – 11:00: Coffee Break

11:00 – 11:15: Elena Dalibot: European Alternatives, Project Coordinator: Citizens Manifesto for European Democracy, Solidarity and Equality – Different Needs and Solutions

11:15 – 11:25: Q&A

11:25 – 11:40: Gerald Häfner, MEP, Greens: Development of ECI and EU-Referendum – tools for more democracy in the EU

11:40 – 11:50 Q&A

11:50 – 12:05 David Casassas, Member of BIEN, Universitat Autònoma de Barcelona: Democracy and Unconditional Basic Income

12:05 – 12:15 Q&A

12:15 – 12:30: Werner Rätz, Attac Germany, Working Group Enough for all and Working Group Beyond the Growth: Degrowth, Health and Unconditional Basic Income

12:30 – 1:00 pm Q&A (ten minutes) and General Discussion

1.00 – 2:00 pm: Lunch Break

2:00 – 2:15 – Philippe Van Parijs, Chair of Advisory Board of BIEN: Euro- Dividend – An example for an partial basic income in Europe

2:15 – 2:25: Q&A

2:25 – 2:40: Guy Standing, Honorary Co-President of BIEN: What can we learn from Namibian and Indian experiments with unconditional cash transfers?

2:40- 2:50: Q&A

2:50 – 3:20: BREAK

3:20 – 5:20: Building the European Movement for an UBI – Panel

• Stanislas Jourdan, French Movement for UBI: How the ECI woke up the European movement

• Valerija Korosec, UBI Slovenia: Running in the EU elections for UBI

• Vahur Luhtsalu, UBI Estonia: Learning-by-doing: How we jumped on the ECI-UBI train (and what are the lessons learned)

• Plamen Dimitrov (Bulgarian Trade Union president – CITUB) (tbc)

• Spanish speaker on the National Popular Initiative (tbc)

• Speaker from Scandinavia (tbc): UBI in the context of advanced welfare countries

• Klaus Sambor, Runder Tisch Grundeinkommen Austria: The movement for UBI as part of wider social movements in Europe

5:20 – 5.30: – Closing address

For more information go to: https://www.facebook.com/events/1445383579030636/

Luigi Narni Mancinelli, “Il Basic Income e il diritto di fuga dal mercato del lavoro”

Luigi Narni Mancinelli, “Il Basic Income e il diritto di fuga dal mercato del lavoro” [The Basic Income and the right to escape from the labor market], Basic Income Network Italia. January 29, 2014.

ABSTRACT:

Secondo la definizione di Philippe Van Parijs e Yannick Vanderborght il Basic Income è “un reddito versato da una comunità politica a tutti i suoi membri su base individuale senza controllo delle risorse né esigenza di contropartite”[1]. Le caratteristiche di universalità, individualità e non condizionatezza dell’erogazione del reddito sono dunque alla base di questa proposta di riforma sociale e vanno spesso in aperta contraddizione con altre concezioni di reddito minimo esperesse teoricamente o applicate in alcune nazioni. Il reddito elargito dallo Stato o dal governo di una particolare regione può essere infatti condizionato dall’accettazione di un lavoro subordinato o di un percorso di formazione lavorativa e spesso viene visto come un momento intermedio prima del reinserimento del disoccupato nel mondo del lavoro. Per quanto riguarda invece la forma di universalità del reddito, nelle diverse legislazioni ci troviamo sovente di fronte a specifiche misure rivolte a fasce di popolazione, cui viene rivolta l’erogazione monetaria, individuate in base a condizioni economiche svantaggiate per povertà, mancanza di integrazione etc. La mancanza del requisito di universalità si accompagna così anche all’assenza del target di individualità: i sussidi possono riguardare famiglie indigenti le cui risorse economiche vengono preventivamente scandagliate a fondo fino a trovare condizioni di estremo disagio cui rivolegere un intervento di carità sociale riguardante l’intero nucleo familiare.  Così come è stato concepito nei suoi caratteri essenziali, dunque, il Basic Income non ha trovato fin ora realizzazione compiuta e la diffusione di forme di reddito minimo, salario sociale, sussidio di disoccupazione, ha complicato il campo di analisi e di studio di questa proposta complessiva di riforma sociale confondendone i contorni di applicazione oppure considerandola come una prospettiva utopica di difficile realizzazione relegandola così nel campo delle proposte irrealizabili. Universalità, individualità e incondizionatezza dell’erogazione monetaria sono andate in secondo piano rispetto all’esigenza di tutelare sì il patrimonio di fasce sociali e famiglie, ma in primo luogo nell’ambito del controllo e della riorganizzazione del mercato del lavoro. La proposta di reddito minimo garantito si è dunque inserita anche nel filone di pensiero neoliberale in cui, permanendo il ricatto all’assunzione di un lavoro precario e sottopagato nel contesto di società con fortissime diseguaglianze sociali, si concepisce il sostegno al reddito come sostegno per la semplice riproduzione fisica della forza lavoro. In questo caso si manifestano somme particolarmente basse di erogazione monetaria, fortemente condizionate dall’accettazione di proposte di inserimento professionale spesso con obbligo di lavori socialmente utili e/o corsi di orientamento e formazione, e più in generale con un forte controllo sociale esercitato dallo Stato sui cittadini individuati come risorse da ricollocare nel circuito dello sfruttamento e della centralità dell’impresa privata. È noto come nella Scuola di Chicago in cui si è formato il pensiero neoliberista diversi economisti, tra cui Milton Friedman, abbiano sviluppato questo indirizzo teorico di una declinazione di reddito minimo che si allontana con decisione dalle caratteristiche del Basic Income individuate da Van Parijs anni addietro. Per comprendere appieno questa apparente contraddizione dobbiamo considerare l’attuale sviluppo del capitalismo, nella fase cosiddetta postfordista o neoliberista che si è consolidata a partire dalla fine degli anni settanta del secolo scorso, non semplicemente come un processo di ritirata dello Stato e della spesa pubblica destinata a fini sociali, ma più organicamente come una fase di ristrutturazione complessiva del mercato del lavoro e della subordinazione lavorativa alla luce dei nuovi processi di accumulazione e di valorizzazione: “Il neoliberismo non è semplice distruzione regolativa, istituzionale, giuridica, è almeno altrettanto produzione di un certo tipo di relazioni sociali, di forme di vita, di soggettività. Detto altrimenti, con il neoliberismo ciò che è in gioco è né più né meno la forma della nostra esistenza, cioè il modo in cui siamo portati a comportarci, a relazionarci agli altri e a noi stessi. Il neoliberismo definisce una precisa forma di vita nelle società occidentali e in quelle società che hanno scelto di seguire le prime sul cammino della cosiddetta “modernità”. Questa norma impone a ognuno di vivere in un universo di competizione generalizzata, prescrive alle popolazioni di scatenare le une contro le altre una guerra economica, organizza i rapporti sociali secondo un modello di mercato, arriva a trasformare perfino l’individuo, ormai esortato a concepire se stesso come un’impresa”[2].

Assieme alla crescita della tipologia postfordista dell’organizzazione della fabbrica, della diffusione di un’impresa più snella, agile, senza scorte di magazzino, con una produzione just in time in un contesto aperto di concorrenza, il lavoratore si è trovato sempre più spaesato e ricattabile, mentre le sue conoscenze pregresse, il suo bagaglio formativo viene sempre più utilizzato dalle aziende senza retribuzione. Se si investono anni e denaro in una formazione permanente, totale e infinita del lavoratore, spesso non troveremo che aziende disposte a sfruttare corsisti, stagisti, laureati che lavorano, quasi gratis, il doppio di altri lavoratori, ormai sempre di meno, assunti decenni prima con contratti a tempo indeterminato. Questo processo si intreccia fortemente con la svolta finanziaria dell’economia, con la forte e crescente finanziarizzazione dei processi produttivi e delle sorgenti di accumulazione del capitale, così come enormi sono le rendite e i trasferimenti di ricchezza ottenuti grazie allo sfruttamento delle economie esterne e della cooperazione degli individui cresciute al di fuori della subordinazione lavorativa. È chiaro dunque come il reddito minimo di inserimento proposto dai teorici liberisti si contrapponga ad una visione di Basic Income fondata sulla riappropriazione da parte dell’individuo di questa gigantesca accumulazione di denaro ottenuta gratis dal capitale grazie ad uno sfruttamento sempre più esteso e intensivo delle forme di cooperazione e comunicazione delle persone, del linguaggio così come della formazione della conoscenza delle singolarità, in una parola delle “soggettività”. La prospettiva della piena occupazione e di una politica economica che metta l’accento sul principio costituzionale della Repubblica “fondata sul lavoro” diventa sempre più inconciliabile con la sfida della creazione di un nuovo welfare che protegga tutte quelle fasce di soggetti non più tutelati dalla scomparsa e dalla ristrutturazione neoliberista dello stato sociale costruito con il vecchio compromesso fordista ormai saltato in aria: “di cosa si occupano i non occupati? E cosa se ne fa il capitale delle loro vite? I cosiddetti non occupati, tra cui bisogna annoverare un gran numero di lavoratori intermittenti, temporanei, occasionali, costituiscono il più grande se non l’unico laboratorio di sperimentazione e progettazione di nuovi servizi e attività culturali, sociali, politiche, nonché di attività produttive minori, in perenne conflitto con norme e regolamentazioni imposte da burocrazie nazionali ed europee che operano al servizio di corporazioni e poteri forti. Il tutto fiscalmente penalizzato nell’illusione, di incrementare il mercato del posto fisso. Per tornare a una formula più volte ribadita esiste una vasta cooperazione sociale produttrice di ricchezza, non riconosciuta in termini di reddito e di garanzie. Quanto alla seconda domanda, il capitale cattura a piene mani, trasformando in sua proprietà o in suo prodotto, procedimenti e risultati di questo insieme complesso di attività, avvalendosi anche di un apparato giuridico e contrattuale che spudoratamente lo agevola. Volendo dirla in maniera un po’ sfacciatamente provocatoria, tutti i discorsi sulla piena occupazione non fanno i conti con il fatto che la piena occupazione esiste già e si dà appunto in questa forma e con queste modalità. Si potrà certo obiettare che siccome i singoli e le collettività cercano sempre di tirare a campare, messa così la piena occupazione c’è sempre stata, ragion per cui questo discorso sarebbe privo di senso. Tuttavia mi sentirei di controbattere che in altre epoche e in altri contesti la massa degli esclusi vegetava in condizioni soggettive e oggettive di sostanziale passività. Non è certo questo il caso della “inoccupazione” contemporanea segnata da un attivismo evoluto e inventivo che produce indirettamente profitti, ma non riceve direttamente alcun reddito. Considerare dunque il reddito di cittadinanza, non come un ammortizzatore sociale, ma come retribuzione della partecipazione a questo processo di produzione della ricchezza costituirebbe la base dell’autonomia economica e politica dei singoli e non la sua negazione. La possibilità di sottrarre il proprio agire a una condizione di ricatto”[3].  Il reddito garantito non dovrebbe essere dunque vincolato al lavoro e strutturato esclusivamente in vista di una misera riproduzione sociale della forza-lavoro da ricollocare sul mercato con il fine di tenerla pronta alla sfida della competizione ma pur sempre ricattabile e sulla soglia mobile della povertà e dell’esclusione sociale. La società potrebbe maggiormente diversificarsi e crescere culturalmente procedendo aldilà della subordinazione lavorativa, oltre l’inglobamento di tutte le attività di creazione individuale  e di cooperazione sociale sotto la rigida corazza della gestione salariale. Questa diversificazione potrebbe agire creando un circolo virtuso in grado di influenzare positivamente anche il mercato del lavoro garantendogli nuovi e più alti standard una volta apertasi una competizione positiva grazie al riconoscimento della cittadinanza di tutte queste pratiche, elaborazioni e produzioni alternative. Andrebbe quindi affrontato un cambiamento anzitutto dal punto di vista culturale che punti allo spostamento delle enormi risorse oggi destinate allo sviluppo delle imprese private, della concorrenza e del mercato, al campo dell’esercizio dell’autonomia dell’esistenza degli individui. Le criticità dell’applicazione del reddito garantito riguardano infatti principalmente il finanziamento della misura e il rapporto con il lavoro salariato. Il finanziamento riguarda scelte socio-economiche di fondo, come l’eventuale riduzione della spesa militare, una tassazione più equa ecc. Il rapporto tra reddito garantito e mondo del lavoro salariato è un processo complesso che andrebbe sì affrontato per gradi e in divenire, ma tendendo al superamento della totalizzazione del rapporto di subordinazione lavorativa. Il Basic Income potrebbe innescare un processo virtuoso che influenzerebbe il mercato del lavoro alzando gli standard generali. Ciò non toglie che si aprirebbero comunque delle grosse contraddizioni con il mercato e l’impresa privata che sarebbe però interessante poter verificare, approfondire e sviluppare. Usare la prospettiva di sostegno al reddito unicamente come mezzo per ricollocare i fuoriusciti dal mercato del lavoro nella posizione precedente fa perdere alla collettività un’occasione di crescita generale. Il problema va dunque posto prendendo di petto tutte le attuali ed egemoni obiezioni presenti nel dibattito pubblico rispetto la creazione di un reddito di esistenza sgnaciato dal lavoro analizzando l’obsolescenza di tutte quelle teorie che considerano parassitario l’uso del Basic Income per i non occupati e un limite per la crescita complessiva della società. Con una progressiva diversificazione delle forme di attività “potrebbe verificarsi un effetto complessivamente incentivante del basic income secondo la logica di quello che, osservando l’esodo di massa dei profughi dalla Germania est nell’estate dell’89, si potrebbe chiamare ‘il paradosso della Rdt’. Il paradosso è questo: se il governo della Rdt avesse concesso ai suoi cittadini il diritto ad andarsene, molti sarebbero rimasti. L’errore di non aver riconosciuto questo diritto fu una delle cause immediate della decisione di molti di fuggire illegalmente. Applicando questa logica al mercato del lavoro e al sistema garantito dal basic income, si potrebbe prevedere che il ‘diritto di partire’ indurrebbe molte persone a ritirare la loro forza lavoro dall’impiego formale, cosa che potrebbero permettersi data la sicurezza del basic income e la conseguente reale possibilità di scelta dell’impiego. Quei lavoratori marginali che sono rimasti sul mercato del lavoro per paura che uscire significasse non tornarci più, farebbero certamente questa scelta. Ma questo ‘diritto di andarsene’ verrebbe usato, in una misura che non
conosciamo, ma che difficilmente sarebbe irrilevante, anche per acquisire nuove abilità sociali e tecniche e per liberare energie e inclinazioni che faciliterebbero infine il ritorno volontario al lavoro salariato. Così l’effetto finale sarebbe, da una parte, un modello di vita più flessibile e fondato sulla scelta, e, dall’altra, una riqualificazione della forza lavoro, fattori che potrebbero entrambi concorrere a una nuova situazione di piena occupazione sulla base di un segmento di vita dedicato al lavoro formale notevolmente più breve per il cittadino medio”[4]. Si tratta dunque di pensare il Basic Income anche e soprattutto in funzione di questo diritto di fuga dalle maglie del lavoro subordinato e non come un mero inserimento in un modello di competizione globale che sta procurando danni incalcolabili anche dal punto di vista di sostenibilità ambientale. Tutte le produzioni nocive all’ambiente, alla salute, tutto l’obsoleto impianto industriale che provoca inquinamento e devastazione dei territori ha come unica alternativa sostenibile una sua riconversione basata principalmente sulla fine del ricatto della disoccupazione. Più in generale è la stessa nocività sociale della strutturazione del lavoro salariato che può essere messa in discussione solo con l’adozione del Basic Income.

Luigi Narni Mancinelli

Note

[1] P. Van Parijs, Y. Vanderborght, Il reddito minimo universale, Egea, Milano 2006

[2] C.Laval-P.Dardot, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, Derive Approdi, 2013, Introduzione

[3] M.Bascetta, Reddito di cittadinanza: una libertà fuori dal mercato, ilmanifesto 19 giugno 2013

[4] C.Offe, Un disegno non produttivista per le politiche sociali, in AA.VV. Tempo e democrazia, manifestolibri, Roma, 1997, p.105

Leon Neyfakh, “Should the government pay you to be alive?”

-Jacob Thomas for The Boston Globe

-Jacob Thomas for The Boston Globe

SUMMMARY: Leon Neyfakh writes, “It sounds radical, but the ‘guaranteed basic income’ almost became law in the United States—and it’s having a revival now, with some surprising supporters.” This article traces some of the history of the Basic Income Guarantee in the United States going back to the Negative Income Tax issue in the 1970s and connecting to how social activism and the Great Recession have brought the issue back into mainstream political discussion. The piece quotes from Steve Pressman and Philippe Van Parijs, two prominent members of the BIG movement.

Leon Neyfakh, “Should the government pay you to be alive?The Boston Globe, February 09, 2014.

OPINION: A Suggestion for All

By Marina Pasetto Nóbrega.

We read the recent article by Philippe Van Parijs suggesting a Euro-dividend for all in the EU. That would represent about 200 Euros monthly to each and everyone, unconditionally. And, he points out, this minimum basic income or citizen’s income can be supplemented with income from labor, capital or social benefits. The author calculated that the total expenses amount to 10% of the EU’s GDP. Recently the citizens of Switzerland petitioned their parliament to examine a proposal for a basic income for all adults, amounting to about US$ 2,800/monthly. This is a mighty sum but Switzerland is a rich country with a small population. Iran, among economic changes applauded by the IMF, introduced an unconditional cash transfer that benefits 90% of its population. We would spare the readers of this newsletter the arguments that Van Parijs aligned to justify the proposal as they are most likely familiar to supporters of the basic income idea.

What we want to discuss is the way to turn the utopia into reality. 10% of the GDP is a sum that will be a formidable barrier to implementation of the benefit. We draw from the discussions we are having in a Brazilian city where there is a Municipal Council devoted to devise a way to start a basic income in steps, as required (in Brazil) by the 2004 law that created the benefit but still awaits regulation(1). Our government, as almost every government in democracies, has a bureaucracy that takes care of requests from the unemployed or underemployed. In Brazil 13.9 million means-tested families are receiving help from the Bolsa Familia program. That amounts to about 40 million persons, nearly 25% of our population. We would argue that the easier first step to initiate an unconditional and permanent basic income for all Brazilians is to target the present Bolsa Familia beneficiaries. Just turn the present benefits permanent and unconditional. The poverty trap will be eliminated. The bureaucracy can now search for the remaining poor and families or individuals that fall into economic vulnerability. Those will receive the permanent minimum income. The existing government social security network will be active monitoring those that enter the “precariat”, moving them to the minimum income shelter. We would claim that such a strategy would also be more palatable and less costly to the EU residents.

We also would like to stress the importance of the minimum income not only as a basic human right but as a necessary measure if we want to improve the safety and well-being of rich and poor because want will increase social unrest and crime for all. It will grant people, amidst the modern revolution in the job market, time to wait for new opportunities that we still cannot foresee or get training to qualify for existing or emerging jobs. The right to frugality independent of work seems relevant when a lot of people pay lip service against excessive consumption. A better life, for those without other means except the basic income, will also boost, we hope, communal arrangements to lower costs for all involved.

The modern situation that adds urgency, in our view, to the implementation of a basic income has been analyzed by scholars and we would like to mention just two studies: Brynjolfsson and McFee(2) have shown that notwithstanding a continuous rise in productivity, the last two decades exhibit a marked reduction in job opportunities. This modern decoupling is due to developments like electronic computation, robotics and artificial intelligence. Job openings are being reduced in a very marked way. Frey and Osborne(3) released a very interesting study of 702 occupations, charting out the many that are in the road to extinction due to the modern trends mentioned. In the US the authors estimate that 47% of jobs are at risk of being automated within a decade or two. Also a fundamental psychological barrier exists and resides in the deeply engrained notion that income has to be linked to work. People will have to overcome that as we did in the recent past with slavery, torture and the rights of women and minorities, finally embracing solidarity in the economic realm.

Anywhere we could hasten the arrival of the basic income dream by taking the stepwise approach, using the existing social agencies to permanently move into the unconditional minimum income the vulnerable.

1 Our proposal was presented in BIEN news in 2012 as “A three-step proposal to get to a basic income for all in Brazil”.
2 Race Against the Machine – how the digital revolution is accelerating innovation, driving productivity, and irreversibly transforming employment and the economy. Erik Brynjolfsson and Andrew McFee, 2011, Digital Frontier Press, Mass, USA
3 The future of employment: how susceptible are jobs to computerization?, Carl Benedikt Frey and Michael A. Osborne, 2013,
https://www.oxfordmartin.ox.ac.uk/downloads/academic/The_Future_of_Employment.pdf

We thank Jim Hesson for generously reviewing the text

Podcast on Basic Income #6 (13/11/18)

Respective Links:
0:32 The United Kingdom – Mehdi Hasan
https://binews.org/2013/11/mehdi-hasan-%E2%80%9Cwe-could-fix-our-economy-by-giving-every-man-woman-and-child-6000-in-cash%E2%80%9D/

1:17 Switzerland – Enno Schmidt
https://binews.org/2013/11/we-are-not-beautiful-%e2%80%9cinterview-with-the-group-behind-the-swiss-basic-income-referendum%e2%80%9d/

1:47 The United States – The New York Times
https://binews.org/2013/11/annie-lowrey-%e2%80%9cswitzerland%e2%80%99s-proposal-to-pay-people-for-being-alive%e2%80%9d/

2:38 The United States – Fox news
https://binews.org/2013/11/video-fox-news-calls-basic-income-a-great-idea/

2:53 The United States – A Petition at the Whitehouse.gov
https://binews.org/2013/11/petition-at-whitehouse-gov-calls-for-basic-income/

3:32 Belgium – Philippe Van Parijs
https://binews.org/2013/11/philippe-van-parijs-%e2%80%9cthe-universal-basic-income-why-utopian-thinking-matters-and-how-sociologists-can-contribute-to-it%e2%80%9d/

4:13 Canada – Edward Miller
https://binews.org/2013/11/edward-miller-%e2%80%9cthe-basic-income-is-dead%e2%80%9d/

4:24 Canada – BICN
https://binews.org/2013/11/canada-bicn-announces-%e2%80%9cthe-big-push%e2%80%9d/

5:01 Book Review – Allan Sheahen
https://binews.org/2013/11/allan-sheahen-basic-income-guarantee-your-right-to-economic-security/

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